Il protezionismo americano

Il protezionismo sembrerebbe una buona cosa, una misura di buon senso per difendere i prodotti nazionali, ma la verità è che si tratta di una scelta  spesso devastante e dai risvolti contraddittori perché, inevitabilmente, diventa reciproco. Considerando l’integrazione dei mercati, sia economici sia finanziari, che caratterizza i nostri tempi, quella di Trump, sembrerebbe una scelta anacronistica e poco ragionevole, al punto da portare Gary Cohn, consigliere principale sulle questioni economiche,  a dimettersi. L’obiettivo primario dell’America di Trump è proteggersi soprattutto dalla concorrenza cinese. Tuttavia molte grandi aziende statunitensi hanno e continuano ad avere interessi in Cina, in particolare nel settore tecnologico.  Difficile quindi, se non impossibile, trovare dei compromessi.

Com’è possibile attuare il protezionismo verso paesi concorrenti ma dai quali, per materie prime e tecnologie, dipende anche lo sviluppo delle imprese americane?

Senza dubbio è giusto preoccuparsi dell’economia nazionale cercando di favorire le proprie industrie, ma anziché procedere a suon di dazi, molti analisti consigliano a Washington di guardare all’innovazione (spesso minata dal peso dei grandi colossi del commercio), ad un sistema formativo migliore e ad un potenziamento degli investimenti nelle infrastrutture. Nonostante il disappunto di molti, Trump sembra non sentire ragioni e dopo i dazi sull’acciaio e carbone, ha continuato a tassare le importazioni di altri prodotti provenienti dall’estero.  Di questo passo il protezionismo si potrebbe rivelare una politica che divide gli stati uniti, non solo sul piano internazionale, ma anche all’interno del Paese. Infatti, il rischio è che il protezionismo favorisca le lobby petrolifere, dell’industria pesante e dell’acciaio,  a discapito, per esempio,  di quelle industrie che utilizzano componenti a prezzi concorrenziali dai paesi asiatici. Questi ultimi andrebbero incontro a una crisi e, a lungo termine, ad una probabile riduzione del lavoro con consente licenziamento di molti operai.

Purtroppo il governo di Trump si sta muovendo come un elefante in un negozio di porcellane, provocando tensioni con i partner commerciali, a cominciare dalla Cina e dall’Ue. C’è il forte timore che un qualsiasi evento non prevedibile in campo economico e finanziario possa generare guerre commerciali e monetarie con conseguenze incalcolabili. Ovviamente non solo negli Usa.

di Greta Pasetto

 

 

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